Alessandro Pizzati

Poeta

Biografia

Pizzati Alessandro è un vero “prodotto” locale, in quanto nasce all’ospedale Nuvolari di Roncoferraro il 19/08/1969. Inizia collaborando dal 2009 al 2016 con un foglio satirico dove scrive, esclusivamente in rima, sia in italiano che in dialetto mantovano. Da sempre appassionato di poesia e di rime, nei suoi scritti gioca con le parole spaziando in una variegata gamma di tematiche. Il tutto è trattato sempre con (auto) ironia inserendo occasionalmente lo zenzero della sincerità, senza cadere mai nella trappola del banale. Nel 2018 con la poesia “Mens” rappresenta Mantova agli incontri interregionali delle lingue dialettali. Nel 2019 ripeterà l’esperienza con “La sindrome ad Peter Pan”. Nel 2019 la poesia “Fümana” viene inserita nel libro del prof. G. Gozzi “Come varia il dialetto nel territorio mantovano” (ed. E. Lui, Reggiolo) come esempio della linea dialettale demologica che da Mantova conduce verso Ostiglia a cavallo del Mincio. Nel settembre 2019 pubblica il libro di poesie dialettali dal titolo “Da l’Ostigliese a Po’” (ed. E. Lui, Reggiolo), che viene poi ristampato nella primavera 2021. Nel gennaio 2020 con la poesia “Il soldato” riceve una menzione speciale al concorso nazionale “Ossi di Seppia” ad Arma di Taggia (Imperia), la stessa viene poi inserita nella successiva antologia del Premio (ed. Mondo Fluttuante). Nel febbraio 2020 la poesia “L’abbandono” viene segnalata come l’opera col numero più alto dei voti della giuria al concorso “Il libro delle storie finite” di Anzio (Roma) ed inserita nel volume omonimo (ed. Fusibilia Libri). Nel maggio 2020 “Vecchio” viene inserita nel volume “Pagine d’oro della poesia italiana 2019” (ed. Centoverba) dopo aver ricevuto un diploma di merito con titolo d’eccellenza al concorso di Ferrara. Sempre nel 2020 riceve il premio speciale della giuria al concorso “Le occasioni – Covid19” di Sanremo (Imperia) con la poesia “Casa di… riposo” che narra in maniera struggente il dramma delle persone anziane, sole durante la pandemia. Nell’ottobre 2020 vince il concorso “Poesia dorsale” ad Avio (Trento) con la composizione “La ninnananna di Auschwitz”. Nel dicembre del 2020 con “Il grande Torino” riceve il premio da parte della giuria alla VI edizione del concorso “Poesia granata” di Torino ed il componimento viene inserito nell’antologia omonima. Nel giugno 2021 con la poesia “Montecampione 4.6.98” a Darfo (Brescia) riceve il premio del presidente di giuria al concorso “Progetto Pantani” che intende celebrare la vittoria di Marco Pantani al Giro d’Italia del 1998. Il riconoscimento, una riproduzione della salita che portava all’arrivo di tappa a Montecampione, gli viene consegnato direttamente dalla signora Tonina Pantani madre del campione scomparso; la poesia viene poi inserita nel libro “Nel profondo dei cuori”. Nel novembre dello stesso anno “Fümana” viene utilizzata a Mantova come spot per pubblicizzare la rassegna artistica “Fumana: immaginari delle pianure”.

Facebook: Alessandro “Toio” Pizzati, Poeta

 

 

 

Toio Pizzati

Toio 2

 

“Amarcòrd”

“Amarcòrd”… quand a sera un pütin
e le sere a le sinch a s’andava a i giardin
…as fava le pòrte con quàtar fagòt
e as şügava a balün fin a le òt.
As şügava ʼpò tüti, dai nöf a i novanta,
l’ünica gata l’era che in sa’l mès a gh era una pianta;
se al balün l’andava da Farinèli, ad banda ’l molin
al püsè picol al saltava ’l cancèl come un gatin.
Invece i era ’n pò dli paranòi
quand al finiva déntar al pisatòi,
alora via a la fontana ’d ardensaras a na qual manera
e dòpo at corevi a ca, perchè l’era şa sera!

“Amarcòrd” quand la Şòe la vendeva i gelati
e as parlava sol ad calcio e dle inprese di pirati,
a discütar ad marcadüri e “quàtar-quàtar-dü”,
quei brao con la bala o quei che invece igh da dal vü!
Ad come as lancia l’òm o come sa stòpa la biglia
s’l’è mèi vìnsar al canpionà o èl mèi la copa Emiglia.
Perchè a Guènol, as sa, i è tüti intendidor,
giornalista, dirigent e a l’ocorensa alenador.

“Amarcòrd” quand a gh era Belinaşi in piasa a Caşàl
ch’al ghea sénpar vèrt: anca par Pasqua e par Nadal.
E al Cures, in motorin e magari an pò còt
l’Elvira la’t fava misèla anca dòpo mèşanòt;
quand Rico al girava con la stadera
e al Ghignèr al fotografava tüt quel ch’a gh era.
Che bèl, pu, l’aşilo e li me scöli vèci,
e na qual gaşa ’d Manfredini a caval a dli oreci!

“Amarcòrd” al vilo e le caramèle a l’òrş,
le Citroen ad Masòch con la müşica di Doors.
Al Patio, al Due Stelle e al Melamara
e po al Caravèl prima ch’as ciàmes Mascara.
Al tubolare e al Ciao col “sellone”
l’Aletta Rossa e l’Aspes Yuma dal Lelone.
E an penser püsè da chiàltar, na ròba rara:
l’Afro in sal pra a dla fera e Paolino Fornara.

“Amarcòrd”, ma… son mia tant sicür,
se ad banda a via Vèneto na vòlta agh fös un mür
par riparar al paes in caşo d’alüvion
in primavera, in autün e in tüte le stagion.
Quand sota i pòrtach a gh era la cooperativa
e al tabachin a l’era a dla Maria a dl’Argìa.
Quand da dla a dla strada a gh era la Nòra
e da Maşal ad magnavi la pisa déntar e föra.

Quand le ciuinghe le ghea déntar al tatüagio
ch’l’andava via dòpo al prim lavagio.
Quand le schedine le ghea “Matrice e Figlia”
e le fòto di ciclista a i era déntar in na biglia.
Quand in piasa ’t şügavi a caranpana
e al fóran a l’era quel ad Tarana.
Insoma quand Mens al gneva sü
parchè a la fin ch’a decideva l’era sénpar lü.

“Amarcòrd” ...e cèrti ròbi “a mi a ricòrdi mia”
perchè col tenp a sa scoloris anca la fotografia
e l’è dificil scrìvar quel ch’a pasa par la tèsta
in di moment trist ed in di gioran ad fèsta.
Se a ta’t guardi d’intoran, ògni an a manca un qualdün
ma ’s pöl mia dir da nò quand a ciàma ’l “Padrün”…
e al tenp al pasa par  vüaltar e an pò anca par mi
ma fin ch’a s’la contema l’è perchè a sema ancora chì!

“Amarcòrd”
“Amarcord” quando ero un bambino / e la sera alle cinque andavo ai giardini / si facevano le porte con dei fagotti / e si giocava a pallone fino alle otto / Si giocava tutti, dai nove ai novant’anni / l’unico problema era che in mezzo c’era una pianta / Se il pallone andava (in casa) da Farinelli di fianco al molino / il più piccolo saltava il cancello come un gatto / Invece erano un po’ dei problemi / quando finiva nel vespasiano / allora di corsa alla fontana per lavarti in qualche mod o/ e poi casa che era già sera / “Amarcord” quando la Zoe aveva il bar / e si parlava solo di calcio e delle gesta dei pirati / a discutere di marcature e di schemi / di quelli bravi con la palla e di quelli che invece lo erano meno / Di come si lancia l’uomo o si stoppa la palla / se è meglio vincere il campionato o la coppa Emilia / Perché a Governolo si sa son tutti intenditori di calcio / giornalisti, dirigenti e all’occorrenza allenatori / “Amarcord” quando c’era Bellinazzi a Casale / che aveva sempre aperto, anche per Pasqua e per Natale / E a Correggio, in motorino e un po’ stanco / l’Elvira ti faceva benzina anche dopo mezzanotte / Quando Enrico girava con la bilancia / ed il fotografo fotografava tutto quello che c’era / Che bello poi l’asilo e le mie vecchie scuole / e qualche sberla del (maestro) Manfredini sulle orecchie! / “Amarcord” il gioco della lippa e le caramelle all’orzo / le Citroen dei Mazzocchi con la musica dei Doors / il Patio, il Due Stelle ed il Melamara / e poi il Caravel prima che si chiamasse Mascara / Il tubolare ed il Ciao con la sella lunga / l’”Aletta Rossa” e l’”Aspes Yuma” del Lele / E un pensiero più degli altri, una cosa non da poco / l’afroraduno sul campo fiera e Paolino Fornara / “Amarcord” ma non son molto sicuro / se di fianco a via Veneto una volta ci fosse un muro / per proteggere il paese in caso d’alluvione/ in primavera, in autunno ed in tutte le stagioni / Quando sotto ai portici c’era il bar Cooperativa / ed il tabaccaio era della Maria dell’Argìa / Quando dall’altra parte della strada c’era (il ristorante de) la Leonora / e da Mazzali mangiavi la pizza al chiuso e all’aperto / Quando i chewing gum avevano dentro il tatuaggio / che andava via se ti lavavi / Quando le schedine avevano matrice e figlia / e le foto dei ciclisti erano dentro ad una biglia / Quando in piazza giocavi a carampana / ed il forno era quello di Tarana / Insomma quando Mincio veniva su / perché in fondo era sempre lui a decidere / “Amarcord” e certe cose non me le ricordo / perché col tempo scolora anche la fotografia / ed è difficile scrivere quello che passa nella testa / nei giorni tristi e nelle giornate allegre / Se ti guardi attorno ogni anno manca qualcuno / ma è difficile dire di no quando chiama il padrone (Dio) / e il tempo passa per voi e un po’ anche per me / ma fin che continuiamo a fare racconti è perché siamo ancora vivi.

 

 

Me pàdar

Camişa a quadarton, manghi fati sü
e la front che at südar l’an pöl quaşi pü
suta ’l sol ad meşdì con un capèl ad paia
fra na vaca ch’a şmergola e un can ch’a baia.

Le sedole e i cai a gh’inpienis li man
na paròla in vènet e una biestema in mantoan
al conta in canpagna una vòlta còşa a gh era
piciando al fèr da şgar, sentà par tèra.

Al bat, al parla e al guarda a bas
intant che al südor al gosa dal nas
Da pütlet a lavorar l’ha tacà prèst
e l’ha fat an pò da tüt, men che al dişonèst

“A t’hò dat quel che aghea, t’hò fat stüdiar
e ricòrdat che par fàral son mai andà a rubar.
Inpara a far da tüt, ma sta mia èsar làdar!”
Questo l’è l’insegnament ch’a m’ha lasà me pàdar!

Mio padre
Camicia a quadretti con le maniche arrotolate / la fronte stanca di sudare / sotto al sole di mezzogiorno col cappello di paglia / fra una mucca che si lamenta ed un cane che abbaia / Le mani piene di tagli e calli / una parola in veneto ed una bestemmia in mantovano / racconta della campagna di una volta / mentre batte la falce seduto per terra / Lavora, parla e guarda giù / mentre il sudore gli scende sul naso / ha cominciato a lavorare presto da ragazzo / facendo un po' di tutto ma sempre onestamente / “Ti ho dato tutto quello che avevo, ti ho fatto studiare / e fer farlo non sono mai andato a rubare / impara a far di tutto ma non il ladro” / E questo è l'insegnamento che mi ha dato mio padre.

 

 

Il Grande Torino

E’ una storia costellata
la storia granata
di sogni e di glorie
con le loro vittorie
e di amare sconfitte
alcune già scritte.

Ma la grande ferita
senza aver perso partita
l’ha decisa la sorte
su quel colle di morte
dove termina il viaggio
in una sera di maggio.

Sotto un cielo tempesta
la vita di colpo si arresta
un lampo, un boato
il silenzio è squartato
ed il viaggio quel giorno
diventa senza ritorno:

Poi solo pianto e dolore
nella testa e nel cuore
di un amore fugace
che non sa darsi pace
per quel rigore assassino
che fischiò contro il destino.

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