Battaglia del 1848:preziosa descrizione di un testimone a Governolo

Tratto dal testo C. Gobbetti: Governolo un viaggio della storia p. 175 - p.182


Una preziosa testimonianza ci giunge da uno scritto ottocentesco di A. Rivalta (pseudonimo di Luigi Castellazzo): Lombardia 1848 » pubblicato nel 1862 (pp. 243-254).

L'autore partecipò direttamente agli eventi che sconvolsero Governolo in quei giorni di battaglia.

Sono qui riportati alcuni stralci del suo racconto, interessante anche da un punto di vista letterario, per lo stile romantico ottocentesco, tipico del tempo, usato per la descrizione di avvenimenti pubblici.

 

«[...] Era un dopo pranzo del lunedì 17 luglio 1848, proprio lo stesso giorno della partenza di Ciro dalla Casa ospitale del signor **, quando sul bello e maestoso argine destro del Po, che da Portiolo mette a Borgoforte, passando pel villaggio di Montecchiana, s'avanzava una comitiva di cavalieri, portanti l'uniforme d'Uffiziali dello Stato Maggiore dell'Esercito Sardo.

 Giunti che furono alla discesa, che mette nel detto villaggio, quegli che li precedeva e all'abito bordato di ampi ricami, al cappello a due punte, ai cordoni e spallette d'argento, non che al grave e autorevole contegno, mostravasi un Uffiziale superiore e precisamente un Generale, fece far alto alla comitiva, e indirizzandosi ad un bersagliere, che stavasi sull'argine, ritto e rispettoso e in atto di militare saluto, gli ordinò di chiamare il di lui Comandante.

Il bersagliere corse a tutte gambe verso il villaggio, mentre il Generale teneva dietro coll'occhio a due grossi barconi, che coperti di bianca tela e tirati da tre cavallacci rimontavano il fiume. -Si può fare -, esclamò tutt'a un tratto il Generale; e mentre i cavalieri del suo corteggio, con rispettosa, ma viva curiosità lo interpellavano su quello, ch'ei volgeva in pensiero, e che far si poteva, si videro salir frettolosi due Uffiziali, un Capitano e un luogotenente dei bersaglieri.

La loro bella uniforme, le spalline dorate, il cappello tondo, colle tese (parte sporgente del cappello) lucenti e le piume verdi, ma soprattutto la bella e maschia persona dei due nuovi sopraggiunti, li rendeva sommamente notevoli. L'uno sul fiore degli anni, atletico d'aspetto e di forza, col volto virile e guerriero, abbronzato dal sole dei campi e delle battaglie, e d'animo in tutto corrispondente all'aspetto, era il Capitano dei bersaglieri Lions, vero cuor da leone. L'altro, senza che il descriviam nuovamente, è una nostra vecchia e speriamo non discara conoscenza, Enrico Rovello.

Il Generale, che avevali fatti chiamare, era Bava.- Capitano -, disse questi al Lions, una buona occasione sto per porgervi di nuove bravure.

-Vedete voi quelle barche? Ebbene, voi stesso potete da qui accertarvi, come sotto quelle coperte si possano agevolmente nascondere tutti gli uomini della vostra compagnia... Non vi pare?-

Sì, Generale. Ciò inteso... Voi mi seguirete a Borgoforte coi vostri, e là coll'aiuto di quei terrazzani, vi nasconderemo in quei barconi siffattamente che non possiate essere scoperti prima dell'istante opportuno.

Acconciati in tal guisa, vi faremo scendere il fiume fino allo sbocco del Mincio... Ivi potrete discendere, e afferrato l'argine, moverete nella direzione di Governolo, contro il quale noi pure ci sarem mossi.

Voi conoscete il paese, e saprete quindi trovar il mezzo di aiutar noi al passaggio del Ponte, quindi di attaccare sul fianco ed alle spalle il nemico.

Vi attendo dunque a Borgoforte, ove riceverete nuove e più particolarizzate istruzioni... Per ora addio, e Viva il Re!

E si allontanò di galoppo col seguito.

[...] A un buon miglio circa dallo sbocco del Mincio nel Po, parte alla destra, parte alla sinistra riva del Mincio, giace Governolo, celebre nelle Storie sacre e profane.

L'autore sintetizza gli aspetti salienti della storia di Governolo
poi fa una descrizione di Governolo come era nel 1800.

Per dieci miglia di distanza dalla città di Mantova, il fiume Mincio scorre serrato fra due magnifici argini, che tutelano le circostanti campagne dalle pur troppo frequentissime inondazioni. Risaie, praterie, boschi cedui di salici viminali, si avvicendano da ambe le rive, con campi coltivati a gran turco e frumento, intersecati da filari di vite e da gelsi, mentre una serie di fornaci da cuocer mattoni, succedentisi a brevi intervalli, e le fosse scavate a bello studio, per estrarne l'argilla, e l'acqua torbida e lenta, danno un aspetto per nulla ameno ad un fiume, che è, in quella vece, sì bello e ridente nel suo corso superiore, fra i piccoli e ridenti colli di Valeggio, della Volta, e di Monzambano.

Presso a Governolo, le Fornaci cedono il luogo alle case di campagna, e ai palazzotti di villeggiatura dei Mantovani, e il villaggio incomincia.

Alla sinistra sponda del fiume, si succede una lunga riga di case, per lo più basse, ed auguste, con dei portici bassi, oscuri, malissimo selciati, e ai quali si discende, dalla via costruita dall'argine, per parecchi gradini, né comodi, né sicuri.

Un ponte di legno gettato sul fiume, verso la metà del paese, con doppio levatoio unisce la riva sinistra alla destra, dove un piccolo gruppo di case, formanti una esigua piazzetta, una vecchia torre, che serve di pubblico orologio, ed una chiesa, compiscono da quel lato il paese mentre la parte sinistra, oltre la lunga riga di case sopradescritta, procede verso lo sbocco del Mincio, fra case sparse, ma a non molta distanza, le une dalle altre, ultima fra esse la chiesa parrocchiale, ampio e ben architettato edificio.

Una strada interna, e come di circonvallazione, cinge tutto il paese dal lato sinistro, e dalla chiesa parrocchiale ad Oriente mette capo al cimitero; quindi, per un angolo quasi retto, raggiunge l'argine nel principio del villaggio il quale, di tal modo rimane come all'ipotenusa di quel triangolo rettangolo.

Tale strada interna, prestavasi assaissimo, al progetto di Bava, e poneva in grandissimo pericolo di venir circuite quelle truppe, che senza ben guardarsi alle spalle e sui fianchi si fossero ostinate a contendere il passaggio del fiume, ad un nemico numeroso e intraprendente.

Ad onta di sì considerevoli svantaggi, è tale e sì grande l'importanza strategica di quella posizione che vi si era, da parecchi giorni appostato un intiero battaglione di croati, con quattro cannoni da campagna, e alla mattina, appunto, successiva al dopo pranzo sopraccennato, il ponte alzato dalla banda sinistra, i cannoni appostati sull'argine e i croati, o sparsi in bersagliatori, qua e là alle finestre, sotto i portici, sulle terrazze, e sui tetti delle case, o raccolti in manipoli, nei luoghi più riparati ed acconci, non che il batter furioso dei tamburi, il tuonar del cannone, e le fucilate, ricambiate dall'una all'altra sponda, dimostravano già iniziato il combattimento.

I cannoni del General piemontese Trotti, bene appostati sull'ala sinistra dei Sardi, e propriamente sull'argine nella direzione, che conduce a Bagnolo San Vito, spazzavano l'argine opposto, specialmente verso la Chiavica del Fissero, unica linea di ritirata diretta e sicura su Mantova, perchè i ponti sui canali d'irrigazione delle strade interne erano stati tagliati dai contadini, e intercetta quindi del tutto, o per lo meno diffìcoltata molto, da quella parte la fuga.

Nell'istesso tempo, i cannoni di Bava e un fuoco vivissimo di bersaglieri e di moschetteria tenevano lontani i nemici dal ponte, e loro impedivano di tagliarlo, o guastarlo in qualche maniera.

Se non che il fuoco durava circa già da un'ora, né alcun probabile risultato vedevasi difficilissimo riuscendo ai piemontesi far calare la parte di ponte stata levata dal nemico, e ciò sotto il fuoco di quattro pezzi ben appostati e di un migliaio circa di fucili.

Non è, però, che ciò fosse impossibile, che anzi, i bravi soldati italiani, già mormoravano della forzata inazione, e gridavano si arrischiasse l'assalto; ma il loro Generale, tenace nel suo proposito, come il giusto d'Orazio, continuava in quella vece a tenerli tranquilli, guardando di tratto, in tratto, con un lungo cannocchiale da campo, verso una parte della opposta riva, da dove aspettava, certamente, qualche cosa, e con qualche impazienza, a quanto si sarebbe potuto arguire udendolo ripetere di tratto, in tratto, fra i denti, gli è vero, ma in buono e plateal piemontese contagi!

Intanto, per tranquillare le truppe impazienti, gli Uffiziali avevan fatta correre nelle fìle la voce dell'aspettato efficace soccorso dei bravi bersaglieri, che sarebbero comparsi dall'altra parte del fiume, ed esse a guardare tutte ansiose, e piene di fiducia in quei svelti, ed intrepidi piccoli, neri demonj, veri favoriti dall'esercito e spauracchi dell'inimico.

Quand'ecco tutto ad un tratto scintillare ai vivi raggi di un bel sole d'estate un lucido cappello cerato, poi un altro, ed un altro, e grida e spari e suonar guerriero ed allegro di trombe.

Un Viva l'Italia! echeggiò allora repente, universale, entusiasta, fra tutte le file dei bravi piemontesi, e fu un accorrete al ponte, a chi primo.

Alcuni dei sopraggiunti bersaglíeri, non curanti del fuoco nemico, si precipitavan sul ponte, e il calavano interamente, aprendo così l'adito all'impetuosa irruzione dei Sardi.

Altri correvano per la strada interna soprammemorata a tagliar la strada ai fuggiaschi.

I Croati sorpresi ricambiano pochi colpi poi gettan l'armi, gli zaini, i vestiti e, si arrendono, o se la danno alle gambe... i cannoni vengono abbandonati o sorpresi, prese d'assalto le case ancora occupate, conquistata la bandiera imperiale, uccisi o fatti prigioni gl'Uffiziali, fatti 400 prigionieri, il restante di quel corpo sparpagliato qua e là per le vicine campagne, e presi od uccisi i fuggenti dai villici dei dintorni, irritati e inferociti dalle soldatesche e brutali loro angherie.

Alcuni, cacciatisi ignudi nelle paludi e risaie, fuggivano, così brutti di sangue e di melma, miserabile e schifoso spettacolo a quanti li videro...

Una carica di cavalleria aveva compito il danno e la sconfitta del nemico, rompendo ogni nodo ed ogni tentativo di ulteriore resistenza, sicché gli squadroni illustrati in quella carica, già se ne ritornavano vittoriosi e giulivi della caccia al croato, quando un giovine Uffiziale di Stato Maggiore, che aveva caricato alla lor testa veduto da lungi un Uffiziale dei bersaglieri, spronò il suo cavallo a quella volta e a pieno galoppo li raggiunse.

[...]E' inutile che qui aggiungiamo come, eccetto la finzione dei nomi e di qualche circostanza richiesta della natura del nostro lavoro, tutto quanto narriamo sia esattamente e storicamente provato.

I nostri due giovani avevano molte cose da dirsi e si diedero perciò appuntamento al villaggio di Casale, dove Enrico andava a porre gli avamposti.

Descrizione ottocentesca di Casale di Governolo oggi frazione del comune di Roncoferraro.

Alla destra sponda del Fissero, fossato d'irrigazione ampio e ben provveduto d'acque, giace il paesetto di Casale.

Una rustica povera Chiesa, un torrazzo a tre piani che le serve di campanile, un bel viale di pioppi cípressini (Populus pyramidalis), una vasta tenuta chiamata Corte e appartenente al Creso dei principiotti il Duca di Modena, una botteguccia a spaccio di tabacco, liquori e commestibili, e qualche casetta sparsa qua e là lungo la via costituiscono tutto il villaggio.

All'intorno poi, e specialmente dalla parte di Nosedole e di Roncoferraro ampie risaie a vista d'occhio, irrigate da un'infinità di canali e fossati, ne ammalorano l'aria, e ne rendono assai poco piacevole ed ameno il soggiorno.

Sia dunque che le notizie fossero tristi... sia che il luogo influisse sull'umore dei nostri giovani... sia l'una e l'altra di siffatte cagioni, fatto sta che i discorsi ch'essi tenevano da lunga ora passeggiando la stessa sera della battaglia, lungo lo stradale, che conduce al Nosedole e alle Valli Veronesi, eran tutt'altro che fiduciosi ed allegri.

[...] In questo ragionare, il giorno si andava morendo e i melanconici rintocchi della campana, che sembra il giorno piangere, che si muore, aumentava la tristezza dei due amici.

Era l'ora, nella quale i naviganti pensano sospirando alla propria famiglia... l'ora, nella quale i fuochi accesi nelle povere case degli agricoltori e i famigliari colloqui, e il muggito dei buoi tornanti al presepe... e il vagir dei bimbi nelle fasce, e le orazioni della sera recitate a voce alta dai fanciulletti più adulti, commuovono il pensiero dell'esule viatore, che, mal suo grado s'arresta, guatando con una tacita invidia quelle famigliuole riunite, volge un pensiero di desiderio e di amore alla lontana famiglia, e maledice il tiranno, che gliela tolse, finché poi riprende più stanco, e più triste ancor dell'usato il cammino, cercando un ricovero contro la notte vicina. Ciro ed Enrico raggiungevano la gran guardia dell'avamposto comandato dal secondo, ed il primo facevasi condurre il proprio cavallo, per ritornarsene al quartier Generale di Bava a Governolo, quand'ecco venire alla volta loro una pattuglia di bersaglieri, scortanti alcuni prigioni. Erano fuggitivi della mattina, trovati mezzo ignudi nelle vicine risaie.

Il Caporale, che comandava la pattuglia, presentò ad Annibale i prigionieri, il cui stato veramente compassionevole, commosse l'animo gentile del giovine, sicché chiamato il foriere gli diè incarico di provvedere quei sciagurati di una coperta... un vestito... qualche cosa insomma che potesse ripararli dal freddo e dall'umidità della notte. Il Foriere obbedì. [...]