1526: Giovanni « Dalle Bande Nere »
fu ferito a Governolo

Tratto dal testo C. Gobbetti "Governolo un viaggio nella storia" p.76

Scultura raffigurante Giovanni De Medici detto "Dalle Bande Nere"

Firenze: statua di Giovanni De Medici

 

Nel corso del corrente anno, Governolo ebbe parte in un grande avvenimento che influenzò la storia d'Italia. L'Italia era divisa in vari Stati più o meno potenti tra i quali: la repubblica di Venezia, Milano con la Signoria degli Sforza, Ferrara con la Signoria degli Este, Firenze con la Signoria dei Medici, lo Stato della Chiesa, il regno di Napoli e infine Mantova con la Signoria dei Gonzaga. Il Vaticano che fìn da molto tempo si era assicurato il potente Stato della Chiesa, attraversava un periodo di crisi religiosa. I Papi e l'alto clero si erano dimenticati della semplicità con cui Cristo costituì la Chiesa. Essi erano, infatti, nobili che seguivano questa via per acquisire potenza politica ed economica e non si preoccupavano quindi di testimoniare le Sacre Scritture... Il lusso della corte del Papa e la costruzione della grandiosa basilica di S. Pietro resero necessaria l'acquisizione di molto denaro, la cui raccolta veniva fatta con i mezzi più disparati compresa la vendita delle indulgenze che tanto scandalo provocò e che fu una delle cause del sorgere della riforma protestante luterana. Nell'anno 1519 morì l'imperatore Massimiliano. A succedergli fino al 1556 fu suo nipote Carlo V d'Asburgo (Re di Spagna), il quale soggiornò a Mantova dopo essere stato incoronato da Papa Clemente VII. Carlo V, nel 1525, dopo una lunga lotta con Francesco I di Francia, restò il dominatore politico dell'Italia. A Papa Clemente VII ciò non piaceva, la supremazia sull'Italia gli stava troppo a cuore. Si affrettò quindi a formare una lega, per modo di dire Santa, allo scopo di cacciare gli imperiali dall'Italia, ma anche di liberarsi del re francese. Carlo V si inquietò per questa fastidiosa lega e per punire Clemente VII mandò in Italia un terribile esercito di Lanzichenecchi. Essi erano mercenari tedeschi ed essendo luterani, erano imbestialiti contro il Papa e la Chiesa Romana. Animati dal terribile Georg Von Frundsberg, raggiunsero Governolo con una tattica particolare. A Mantova, il Marchese Gonzaga con i suoi due graziosi titoli di Capitano Generale dell'esercito pontificio e di feudatario dell'impero, aspirava al terzo titolo di Duca. Doveva quindi meritare la gratitudine di Carlo V. In quell'anno a comandare le fanterie della Chiesa era il celebre capitano Giovanni De Medici. Vittorioso delle più avventurose guerre di quel secolo, fu anche detto Dalle Bande Nere per aver listato a lutto (dopo la morte dello zio Papa Leone X) le insegne delle sue truppe. La sua tattica di astuto comandante, come racconta il Marchi[1], era quella dello sciame d'api contro un orso: colpire e fuggire senza che il nemico si rendesse conto della provenienza e della consistenza delle forze attaccanti. Pungere di giorno e di notte, distruggere i depositi, farsi inseguire dalle singole pattuglie nemiche e quando erano tanto distanti dal campo base da non poter essere soccorse dai compagni, sterminarle. A Giovanni però, i Gonzaga alzarono i ponti levatoi e quando arrivò a Borgoforte i Lanzichenecchi erano già partiti verso Governolo a piedi perché all'ultimo minuto erano mancate le barche per attraversare il Po. Il 25 novembre 1526 proprio a Governolo arrivò l'ora della battaglia, il primo vero e proprio confronto di Giovanni, fiancheggiato soltanto da 400 fanti, con i Lanzichenecchi. Giovanni non aveva fatto i conti con un grave imprevisto. Il Duca di Ferrara Alfonso D'Este aveva mandato in nave fino a Governolo ben dodici falconetti e mezze colubrine fornite di munizioni per i Lanzichenecchi. Erano quelle bocche da fuoco che Alfonso aveva negato a Giovanni e così i soldati medicei restarono soltanto con le urla del loro capitano che, nonostante tutto, riuscì a portarli alla vittoria. La sera del 25, dopo il successo ottenuto nella battaglia, mentre Giovanni ritornava al quartiere seguito da soldati inneggianti:
a noi, a noi, a noi, squadre e bandiere,
viva Giovanni dalle bande Nere!
[2]
un colpo assolutamente fuori programma (credeva infatti ancora che i Lanzichenecchi non avessero artiglierie) ferì il condottiero alla gamba destra. Era la stessa già colpita a Pavia, ma questa volta in maniera più grave poiché il colpo fracassò l'arto dalla parte posteriore, non protetta dallo schimiero. Il Marchi precisa che la palla, di ben tre libbre, era stata sparata da un falconetto (il più piccolo pezzo di artiglieria simile ad un cannone) e riporta la seguente lettera di Pietro Aretino:

« ... l'altezza sua si mosse con la solita terribilità inverso Governo (Governolo), nel circuito del quale si erano fortificati i nemici; e travagliandosi intorno ad alcune fornaci, ecco oimè un moschetto che gli percuote quella gamba già ferita d'archibuso... ».

[3] Governolo, infatti, ha sempre avuto una fornace molto importante lungo il corso del Mincio, nei pressi della zona dedicata a S. Leone. Giovanni fu gravemente ferito e dopo essere stato lasciato per terra un po' di tempo, fu portato nel vicino paese di S. Nicolò Po, in cerca di un medico. Nell'Archivio di Stato di Mantova vi è una lettera di Benedetto Agnello il quale, scrivendo al Marchese di Mantova, il giorno 25 novembre, cosi comunica:

« ... Il Signor Giovanni De Medici è stato ferito da una botta di falconetto e per questo, si dice, sta molto male; ancora non l'hanno portato allo alloggiamento del Signor Duca. Prega Vostra eccellenza che voglia commettere a maestro Abramo che venghi in qua subito volando. Esso Signore è stato ferito scaramanzando con li Lanzichenecchi li quali si trovino anchor a Governolo et essendo andati là molti fanti di questo esercito gli hanno tratto di molte botte di falconetti, del che si sta qua molto suspesi perché non si può maginar dove habbiano havuta detta artigliería. Il Signor Duca ha ordinato che li Lanzichenecchi et altre genti di questo esercito che marchiavano (marciavano) a questa via, retornino in Bressana perché iudico che li Lanzichenecchi non si seguirono altramenti massima in caso che passino il Po come si intende che hanno il modo de passarlo... ».

(La foto della lettera documento si trova a  pag. 81 nel Libro C. Gobbetti "Governolo, un viaggio nella storia"- Clicca per un ingrandimento)


 
Il Marchi racconta che quando Giovanni arrivò a Mantova, percorrendo sette chilometri sotto una bufera di neve « ... riscaldavano con il fuoco delle querele la neve che smisuratamente fioccava mentre in letiga si condusse Giovanni a Mantova..."[5], trovò un nuovo ostacolo: Federico Gonzaga esitava a lasciare entrare il ferito. Occorse tutta l'insistenza e l'autorità dell'Aretino per ricoverarlo in città, non a palazzo, ma in casa di Luigi Gonzaga, Signore di Castel Goffredo, il quale aveva combattuto anche lui a Governolo. L'avanzata cancrena impose al Maestro di medicina Abramo di amputare la gamba senza anestesia.[6] Questo non valse a salvare Giovanni che si spense la notte in cui il Papa gli mandò da Roma l'indulgenza plenaria; era la notte di venerdì 30 novembre. Aveva 28 anni. Intorno alla morte di Giovanni fiorì una leggenda secondo la quale il chirurgo per fare un diabolico favore al Marchese Gonzaga, il quale intendeva farlo a Carlo V, avrebbe ammazzato il condottiero fingendo di curarlo, segando l'arto sotto il punto raggiunto dalla cancrena (e non sopra!).
Il Marchi commenta la morte di Giovanni non solo come quella di un uomo, ma anche di un esercito, fatto che stroncò la lega.

Il prof. Dugoni con i suoi studenti del Liceo Artistico di Mantova ha realizzato questo video che presenta la battaglia di Governolo nel 1526 dove Giovanni Dalle Bande Nere fu ferito mortalmente. I fumetti sono tratti dal libro di Marco Trecalli presentato a Governolo presso la saletta dell’ecomuseo del fiume domenica 23 ottobre 2016.

 

 

 

 Per ulteriori approfondimenti   http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/bandener.htm

[1] CESARE MARCHI, Giovanni dalle Bande nere, ed. Rizzoli, Milano, 1982, pagg. 207-222.
[2] Marchi op. cit. p. 211.
[3]Particolare della lettera di Pietro Aretino testimone oculare delle ultime ore dell'adorato amico, in MARCHI, Op. cit., pag. 213.
[4]Tale lettera si trova in A.G. h. n. 2.508, 25 novembre 1526.
[5] Particolare di una lettera dell'Aretino, in Marchi, op. cit., p. 213.
[6]Riguardo la morte vedi anche F. AMADEI, Op. Cit., VOI. II, pag. 512; M. CATTAFESTA, in Mantovastoria, Op. cit., pag. 201.

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