Governolo: il celebre discorso storico
         al termine della prima processione dedicata a S. Leone

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Chiesa parrocchiale di Governolo: dipinto del F. Borgani,
particolare dell'incontro di Papa Leone Magno con Attila.

 

Abbiamo visto nella particolareggiata descrizione del Bertazzolo, come a quei tempi costumasse nelle solenni processioni, vestire i fanciulli da angeli con le ali e con i fiori in mano.

Al termine della processione dopo aver esposto la cassetta delle reliquie vi fu una dolcissima sinfonia dal tocco raffinato delle viviole.

Terminata l’esecuzione apparvero sul pulpito un gruppo di quei fanciulli vestiti da angelo uno dei quali esclamò un interessante discorso che permette di cogliere l’esperienza e cultura religiosa di quei tempi.

Si tratta di un lungo discorso espresso con i toni enfatici propri del tempo, in cui vengono esaltate la virtù del Papa contrapposte alle crudeltà di Attila.

Inoltre attribuisce l’improvvisa ritirata di Attila in un intervento divino e si dilunga sul privilegio riservato ai governolesi di possedere la reliquia di S. Leone Magno.

Nel libro Governolo: un viaggio nella storia.... viene riportato tutto il testo di quel messaggio. E’ importante perché sono rari i testi pervenuti a noi del 1600. Il Bertazzolo ne potrebbe essere l’autore.

1614: Discorso al termine della processione

 « Se mai in terra Nobile abitata da Uomini generosi, vien condotto il Corpo di Capitano, o di Principe, che presso di loro abbia per l'additerò fatte prove segnalate, o giovamento alcun particolare, tutti corrono ed a gara di vederlo procurano per riconoscerlo, per contemplarlo, e colla mente ben divota (non potendo in altro onorarlo) rendergli i dovuti inchini ed augurargli Pace Eterna, per guiderdone del già ricevuto benefizio.

Ben si conviene adunque, che ora tutti Voi Abitatori di questa valorosa Terra, e Voi altri circonvicini di così celebre luogo, che a schiere vi conduciate a vedere, onorare, e adorare le Reliquie del Beato Corpo di San Leone Primo, Pontefice, Ottimo, Massimo di quel Leone dico, che vero Capitano della Chiesa militante, Sommo Pontefice, e Principe della Cristiana Religione, in questo Luogo, dove il Mincio, a quel tempo non molto discosto a questa Chiesa, soleva sgorgare in Po, vestito d'Abito Pontificio, accompagnato da Vescovi, da Prelati, e dal Senato Romano, venne ad incontrare quel grande, e per la sua crudeltà fatto tremendo, Re degli Unni, Attila; che con perpetuo esempio di barbara crudeltà si era acquistato, col non perdonare a sesso, né ad età, il titolo di Flagello di Dio; e non contento di ciò dopo aver rovinate, arse, e distrutte tante Città, tanti Palaggi, tante Terre, s'era risoluto di andarsene a Roma, verso dove aveva già incamminato la maggior parte del suo Esercito la quale tutto di Sangue tinta, dopo aver distrutta Firenze, vittoriosa di bestiale ferità, contro i poveri innocenti di quella, quasi trionfante se ne andava ardita, per rovinar non solo quell'Alma Città, ma ancora tutte le altre dell'Italia insieme.

Per lo che, confidato questo Santo Pontefice nella Misericordia di Dio, non armato di Soldati, ma di Grazia Divina, gli venne incontro, e ritrovatolo in questo vostro Luogo, mentre era circondato da Schiere d'Uominí armati, e Capitani valorosi, intento a veder passare il rimanente del suo Esercito il Po, gli comandò da parte di Dio, che non passasse più oltre nel suo viaggio; alle quali parole (o gran bontà del Cielo!) non solo ubbidì il crudo Re, ordinando che il suo Esercito si fermasse di passare più avanti, ma comandò anche, che se ne ritornasse addietro, con non poca ammirazione di tutti suoi, e di tutto il Mondo insieme; di modo che, parendo universalmente ad ognuno cosa tanto straordinaria, ed insolita al suo essere, alcun de' suoi Consiglieri di Guerra ardirono di rimproverargli così fatta risoluzione, come forse, che fosse azione indegna alla Potenza, o Maestà di un tanto Re che mai per l'addietro aveva ceduto a qualsivoglia incontro, o minacce di potente Nemico o di periglíosa Fortuna; e tanto più gli pareva strano, quanto che in un sol punto, ad istanza di un semplice Vecchierello, accompagnato da Persone Togate, o vestite di Manto Ecclesiastico inesperto dell'Armi, quell'ardire, quell'intrepido Cuore, che si era dimostrato in tutte le sue azioni tanto pertinace, ed implacabile, si fosse lasciato ammollire, o avvilire, di modo che, quelle Ciglia, quei Piedi, e quei passi, che per l'addietro mossi da' Soldati verso le Provincie intiere, solevano indurre ne' Cuori degli Uomini timori grandissimi, e spaventi intollerabili; ora rivolti altrove, fossero Ministri per condurli ove il timore de' loro propri Cuori gli dettasse il cammino: onde avevano ben ragione di rimaner attoniti.

Perciocché, chi non rimarrebbe più che ammirato, se vedesse un Agnello a spaventar un Leone, un picciol Cane sbigottire una Tigre, un'Anatra il Lupo, un Pulcino il Nibbío?

Tutti, tutti questi paragoni non sono punto discrepanti, ma simili a quello tra San Leone Papa, ed Attila Flagello di Dio, perché non era meno lontana la crudeltà dell'uno alla bontà dell'altro, la superbia di questo alla umiltà di quello, e finalmente la potenza di Attila alle forze del Pontefice: posciacché egli già col Ferro, e col Fuoco, e con ogni genere di crudeltà, e di potenza invincibile, s'aveva aperta la strada, e rotti tutti gli ostacoli della misera Italia, e fatto tutti Popoli circonvicini; formidabile miracolo dunque inaudito, grazia del Sommo Iddio inenarrabile, Storia degna d'essere eternamente scritta in sode Pietre, ed eterni Metalli, e merítatamente a Lettere d'Oro inserita fra le Sacre Lezioni del Breviario Romano.

Ben vi potete chiamare favoriti dal Cielo, Uomini di Governolo, d'aver Reliquia tanto importante, di Santo così glorioso, di Pontefice, che abbia fatto così segnalata, e miracolosa Azione.

Questa si può meritatamente annoverare tra quelle di Josuè, di Abraham, di Noè, di Mosè, e d'altri importanti, e miracolosi successi, che si raccontano nella Scrittura Sacra. Ma che?

Tanto più questo favore si renderà a Voi ammirabile, quanto considererete che il Fatto, ed il Miracolo di questo Glorioso Santo è successo, non in Armenia, non in Palestina, non in Egitto, ma in questa vostra Terra, avanti agli occhi dei vostri antichi Padri.

E se rivolti gli animi a più perfetta contemplazione, considererete il Miracolo, non solo lo ritroverete grande, ma grandissimo.

E chi non stupirà, contemplando quell'invitto ardire, quella inalterabile costanza, quella indubitata fede in Dio di Papa Leone? La quale meritò tanto presso la Maestà Divina, che scese dal Cielo gli Angioli, mentre stette ad ascoltarlo Attila, stettero anch'essi sopra la testa del Santo Padre, colle Spade taglienti, e nude in mano, minacciando la morte a quel perverso Re, se non ubbidiva alli comandamenti di San Leone.

Felice Pastore, cui fu conceduto aver gli Angioli di Dio con l'Armi in mano, per difesa del suo Gregge.

Felice sopra ogni altro per certo, poiché a lui solo fu conceduto, senz'aiuto d'Armi terrene, né favore de' Letterati mortali, né intercessione de' Grandi, di liberare, e di assicurare il suo Popolo dalle mani di così barbaro, e potente Nemico.

Questi, questi, o Governolo, sono di quei simulacri, che ci fanno conoscere la grandezza, la bontà, e la misericordia di Dio.

Questi, questi sono gli esempi che ci tirano ad essere timorati di Dio

Queste sono quelle azioni, che ci hanno ad indurre a procurare la Grazia di sua Divina Maestà per poter avere nelle occasioni l'Armi de' Spiriti Celesti in nostra difesa, una delle quali vale più che cento mila di Persone terrene; e che ciò sia il vero, vedilo ora, che due solo, in favore del buon Leone, atterrano, avviliscono, e mandano in esilio più di duecento mila di Attila.

O Governolo, se tu miri quante Città furono distrutte: se consideri quanti Soldati furono tagliati a pezzi, e se rammenti quante Abitazioni incenerite, quante Donne violate, quanti Cuori trafitti, e quante Alme disperse, per non esservi tra tutti questi uno, che meritasse d'aver una Spada Celeste, ovvero un Angiolo di Dio, in suo favore; al sicuro ti risolverai di vivere con Dio, di servire a Dio, di ubbidire a Dio, e coll'intercessione di San Leone, chiedere a Dio misericordia de' tuoi peccati, de' tuoi errori, e delle tute colpe.

E gradirai insieme la buona volontà, e il buon amore di chi così prezioso Tesoro ti dona, e così buona occasione di far bene ti porge, e di chi finalmente ha speso non poche fatiche, ed Oro, per arrecarti onore, e cibo spirituale

E piaccia al Sommo Iddio, immenso, eterno, ed immortale, proteggere tutte le tue azioni, líberandoti, per l'intercessione di San Leone Primo, da qualunque timore, e da qualunque afflizione, discacciando lontano da tutte le tue Abitazioni ogni sorte d'avversità, e di prosperare insieme la Serenissima Casa Gonzaga, conservando i suoi Sudditi in Santa Pace, sicché tutti unicamente con allegrezza di Cuore, e consolazioni di mente, possiate ad alta voce cantare: Gloria in excelsis Deo, Gloria in excelsis Deo ».[1]

[1] Tratto dal Bertazzolo, op. cit. “Vita di S. Leone…”, pagg.34-37.
     Cfr C. Gobbetti "Governolo: un viaggio nella storia"  p. 169 - 172